Come sappiamo, non esistono ancora esami per la diagnosi della fibromialgia e il paziente con questa sindrome presenta i classici esami di routine perfetti.
Una strategia da poter utilizzare, per migliorare le sintomatologie tipiche di questa patologia, è quella di andare ad indagare esami non troppo comuni, che potrebbero essere correlati all’aumento dell’infiammazione e dello stress ossidativo, entrambi cause della fibromialgia.
Un primo esempio è l’indagine delle vitamine del gruppo B (in particolare acido folico e vitamina B12) e dell’omocisteina, una proteina che, se in eccesso, è indice di infiammazione.
È probabile riscontrare nei fibromialgici carenza delle suddette vitamine ed eccesso di omocisteina, con conseguenti maggiore stanchezza, problematiche neurologiche ed aumento dell’infiammazione e dello stress ossidativo.
Questo potrebbe dipendere dalla mutazione del gene per l’enzima MTHFR (metil-tetraidrofolato reduttasi), che ostacola la conversione dell’omocisteina in metionina, con conseguente aumento di omocisteinemia e diminuzione dei folati.
In questa situazione anche la sola integrazione di vitamine del gruppo B potrebbe riportare la situazione a normalità con notevole beneficio per il paziente.
Abbiamo parlato di stress ossidativo e sappiamo come questo sia correlato ad un altro problema: l’acidosi (su questo tema potrete trovare altre informazioni sul nostro articolo “Fibromialgia e acidosi“).
Gli esami di primo livello per identificare la presenza di squilibri acido-base sono:
- l’Emogasanalisi (su campione di sangue arterioso), ovvero la valutazione del pH ematico, della pressione parziale dell’ossigeno (pO2) e della pressione parziale di anidride carbonica (pCO2). Da questi risultati è possibile calcolare il bicarbonato (HCO3-).
In caso di acidosi, i valori di HCO3- e pCO2 saranno fuori dell’intervallo di riferimento, perché l’organismo prova a mantenere il pH all’interno dei valori fisiologici attivando dei meccanismi di compensazione in grado di bilanciare qualsiasi scompenso. - Valutazione degli Elettroliti: sodio (Na+), potassio (K+), cloro (Cl-) e bicarbonato (di solito misurato come CO2 totale).
I valori dei livelli dei fluidi corporei, della concentrazione di elettroliti e dell’equilibrio acido-base sono interconnessi; perciò in presenza di acidosi o alcalosi i livelli di uno o più elettroliti possono essere alterati.
Per la valutazione dello stress ossidativo invece possiamo indagare sia il potere antiossidante cellulare che la barriera antiossidante cellulare.Per la valutazione del potere antiossidante è possibile richiedere i seguenti esami: - Metaboliti reattivi dell’ossigeno (d-ROMS test): misura la capacità ossidante del plasma intesa come contenuto totale in radicali liberi dell’ossigeno (ROS); è un significativo indicatore dello stato ossidante dell’organismo.
- Malondialdeide e 4-Idrossinonenale: sono sottoprodotti tossici di perossidazione lipidica. L’eccessiva produzione esaurisce le riserve di Zn, Se, Vitamina C-E, Glutatione e aminoacidi solforati.
- Omocisteina: aminoacido solforato, ha effetti pro-ossidanti in quanto favorisce la produzione di anione superossido.
Invece per la barriera antiossidante gli esami sono: - Superossido dismutasi (SOD): enzima che protegge la cellula dall’anione superossido, in quanto ne catalizza la neutralizzazione.
- Potenziale Biologico Antiossidante (BAP test): determina la concentrazione plasmatica globale delle sostanze antiossidanti; è un significativo indicatore della capacità di difesa antiossidante dell’organismo.
- Glutatione (GSH): protegge l’integrità strutturale della cellula contrastando l’ossidazione dei lipidi di membrana.
- Vitamina A (retinolo): epitelio-protettiva, è essenziale per la vista, il differenziamento dei tessuti, la spermatogenesi, il mantenimento e lo sviluppo della placenta. Assieme al licopene ed ai precursori carotenoidi, specie β-carotene, ha importanti effetti antiossidanti.
- Vitamina E (tocoferolo): protettiva delle membrane, è importante per la motilità degli spermatozoi e lo sviluppo muscolare. Ha effetto antiossidante su acidi grassi insaturi, lipidi di membrana, vitamina A e caroteni.
Anche in questo caso, integrando con la dieta o altri supporti nutrizionali alcune delle molecole suddette, possiamo ridurre lo stress ossidativo e l’acidosi con beneficio per il paziente.
Un’altra diagnostica molto utile per la comprensione del livello di infiammazione nei nostri paziente è la Lipidomica, purtroppo ancora troppo poco nota e utilizzata.
Con questo esame è possibile determinare la composizione degli acidi grassi (lipidi) nell’organismo, scegliendo la membrana cellulare, come compartimento più significativo, per valutare le trasformazioni metaboliche e nutrizionali in modo personalizzato.
La lipidomica di membrana, in particolar modo di membrana di globulo rosso invecchiato, è lo strumento diagnostico, scoperto ed utilizzato in primis dal CNR di Bologna, per lo studio delle infiammazioni silenti e per la comprensione del rapporto tra i vari acidi grassi in relazione con le patologie.
Come sappiamo gli acidi grassi poliinsaturi del tipo Omega 3 sono necessari per spegnere l’infiammazione cronica o acuta alla base di ogni malattia e qualora fossero carenti, un’infiammazione acuta, diventerà cronica. Questo dipende dal fatto che la risoluzione dell’infiammazione è controllata da un gruppo di ormoni (resolvine, maresine, protectine) che derivano dagli Omega 3. L’omeostasi infiammatoria è data principalmente dal rapporto alimentare Omega 6/Omega 3 e a livello diagnostico può essere misurato solamente dal rapporto Acido Arachidonico/Acido Eicosapentaenoico (AA/EPA) nella membrana eritrocitaria.
Purtroppo nella dieta occidentale il rapporto Omega 6/Omega 3 è fortemente sbilanciato verso l’Omega 6, a causa dell’aumento dell’utilizzo di oli di semi vegetali, dello scarso contenuto di Omega 3 nelle carni non selvatiche e nelle uova di allevamento, del consumo di pesce insufficiente o del consumo di pesce allevato.
Nei nostri antenati il rapporto Omega 6/Omega 3 era di 4:1, oggi è di circa 20:1, con conseguente squilibrio pro-infiammatorio.
Anche in quest’ultima situazione un’alimentazione ricca di cibi contenenti Omega 3 (come il pesce azzurro) e l’integrazione di Omega 3 potrebbero essere di notevole aiuto per il soggetto con fibromialgia.
Un’altra possibilità diagnostica è rappresentata dall’analisi del microbiota intestinale.
Esiste, infatti, una correlazione tra la sua composizione e la sintomatologia tipica della sindrome fibromialgica. La valutazione della disbiosi intestinale, sempre riscontrata nei pazienti, permette di intervenire (con l’alimentazione e l’integrazione mirate) sulle problematiche strettamente fisiche (astenia, dolore, malassorbimento, ecc.) così come in quelle riguardanti la sfera psicologica-relazionale (ad esempio, la depressione).
Team Nutrizione Associazione Scientifica Fibromialgia
Dott.ssa Edy Virgili
Dott.ssa Laura Calza
Dott.ssa Federica Calcagnoli