La vita del fibromialgico è una vita difficile, non solo per chi sta male ovviamente ma anche per chi gli sta accanto.
Io credo davvero che tra tutte le patologie, questa, sia una delle più difficili da vivere perché è una condizione che non ha un riscontro oggettivo e strumentale di laboratorio per cui le persone stanno male ma non c’è nessuna giustificazione clinica a questo star male:
spesso non sono credute, sono malati invisibili, immaginari, spesso confusi erroneamente come ipocondriaci da chi non la conosce.
Se potessi scegliere un valido collaboratore non avrei dubbi nello scegliere una persona con fibromialgia.
Le persone che vivono questa realtà sono per la maggior parte donne, persone straordinarie che hanno dovuto subire l’urto dei ritmi frenetici che i meccanismi sociali degli ultimi decenni gli hanno imposto:
quello di essere al tempo stesso eccellenti genitori, eccellenti lavoratori, mogli e mariti perfetti.
Si perché le persone con fibromialgia sono assolutamente efficaci ed efficienti in quello che fanno, molto scrupolose non danno mai nulla per scontato e quindi sono molto preparate a livello professionale.
Sono dotate di una grandissima sensibilità e non è un caso che la fibromialgia venga anche definita sindrome da SENSIBILIZZAZIONE CENTRALE.
Hanno speso nel corso della vita tutte le loro risorse fisiche, mentali, morali per gli altri e quindi saprebbero, con dovizia di particolari, come aiutare , consolare o supportare qualcun altro. Hanno una storia di vita in cui hanno dovuto apprendere sin da piccoline il forte senso del dovere.
I fibromialgici infatti sono persone tenaci, il dolore non li spaventa… lo sopporterebbero, quello che non sopportano è la limitazione funzionale del non poter fare le cose.
Fermi infatti non ci stanno.
Sono sempre molto attivi sia fisicamente che mentalmente, pensano continuamente a mille cose contemporaneamente.
La loro vita è una continua attenzione alle necessità altrui al punto tale da non essere più in grado di riconoscere il proprio spazio e territorio personale.
Le energie profuse per paura di non riuscire a fare abbastanza, per paura di non essere all’altezza delle situazioni hanno fatto si con il tempo che si creasse, su persone particolarmente sensibili, uno stato di allarme, di tensione, di iperattivazione del sistema neurovegetativo.
Se aggiungiamo come una ciliegina sulla torta anche un evento traumatico scatenante ad elevato impatto emotivo possiamo immaginare le dirette conseguenze:
le ghiandole surrenali incominciano a soffrire, iniziano ad indebolirsi, l’energia vitale inizia a venir meno: ecco che subentra la stanchezza, la spossatezza.
Le ghiandole surrenali e anche tutto l’apparato renale possiamo considerarli come la batteria che mette in moto e in funzione l’organismo.
Se queste ghiandole (anche se chiamarle ghiandole è un eufemismo perché sono delle vere e proprie centraline) non funzionano correttamente, i livelli di vitamina D si abbassano drasticamente e la macchina cessa di funzionare perché non rimane sufficiente energia per i muscoli e quindi la persona inizia a soffrire di debolezza e dolore muscolare.
Alla luce di quanto detto quindi il fibromialgico ha necessità di rivedere e di riformulare il proprio atteggiamento e comportamento RIAPPROPRIANDOSI, in primis, del PROPRIO SPAZIO VITALE personale e territoriale.
Per far questo ha necessità di capire la sua identità e, affinché possa difendere il suo territorio dalle minacce esterne, dovrà prendere consapevolezza di esistere come persona unica, speciale e meravigliosa.
Contemporaneamente si ha la necessità di aumentare la vitalità dell’organismo per ripristinare lo stato di Omeostasi, quello stato cioè di equilibrio dove il sistema difensivo della persona è in grado di affrontare gli stimoli esterni ed interni in maniera efficiente.
Dott. Roberto Re
Psicologo Clinico
Esperto in Ipnoterapia, Auricoloterapia e Psicosomatica
Team Psicologia A.S.Fibromialgia