La fibromialgia è diventata, negli ultimi decenni, un importante problema di salute pubblica con evidenti ricadute socio-economiche.
Prima di tutto, però, ha un impatto sulla generale qualità di vita sia della persona che ne soffre, sia del suo ambiente familiare.
Manifestandosi con un’eterogeneità di sintomi a carico di più apparati, viene anche denominata “Sindrome fibromialgica” ed è considerata una tra le più frequenti cause di dolore cronico diffuso muscolo-scheletrico, che affligge soprattutto le donne (con prevalenza di 9:1 rispetto agli uomini).
Nonostante il crescente interesse scientifico sulle cause della fibromialgia, non è stata ancora individuata un’eziologia certa, sebbene si aprano promettenti prospettive, anche in contesto italiano, nella ricerca sul dolore.
A livello internazionale, le linee guida per la Fibromialgia raccomandano un approccio multidisciplinare che integri terapie farmacologiche e non farmacologiche, centrate sulle esigenze di ogni singolo paziente, con accorgimenti dal punto di vista nutrizionale, interventi educativi, medici e psicologici per il recupero di uno stile di vita attivo e salutare.
Il tutto in maniera integrata con l’obiettivo condiviso di ridurre l’impatto del dolore sulla funzionalità globale e mantenere una soddisfacente qualità di vita, pur con la fibromialgia.
Viene detto multidisciplinare proprio perché intende chiamare in gioco i contributi di una moltitudine di competenze professionali appositamente dedicate, al fine di garantire un prendersi cura a 360° in maniera coordinata, che migliori la soddisfazione del paziente e l’efficacia delle strategie terapeutiche adottate.
“Ingredienti Psi” nel Dolore
Grazie alle ricerche scientifiche sul tema, oggi sappiamo che quando proviamo “dolore” numerosi fattori contribuiscono a creare questa nostra esperienza soggettiva: esso non è necessariamente il risultato di una lesione nei tessuti (nella fibromialgia non esiste una lesione responsabile), bensì si tratta di un fenomeno complesso, in cui la trasmissione del dolore è influenzata anche da fattori emotivi e cognitivi; alcuni aspetti propriamente psicologici hanno dimostrato avere un effettivo ruolo nell’originare, aumentare o attenuare il dolore che percepiamo.
A ciò si aggiunge che possibili condizioni di tensione muscolare, sovraccarico o stress psicofisico contribuiscono a rendere il nostro dolore più intenso, con le conseguenti ripercussioni sulla capacità di svolgere le nostre attività in casa e al lavoro e sulla spensieratezza di dedicarci alla famiglia e al movimento.
E se capitasse a me?
In effetti, la condizione di convivere “forzatamente” con un dolore che perdura nel tempo è qualcosa che metterebbe a dura prova ciascuno di noi, per quanto resilienti pensavamo di essere.
Come con un ospite che si è autoinvitato prepotentemente a convivere con noi in casa, ci sentiremmo costretti a subire una presenza indesiderata e perdipiù ostinata.
Così, sentendo che il dolore forse si sposta ma non va via, col tempo potremmo perdere fiducia nelle terapie che stiamo seguendo, abbandonare il buonumore di un tempo e la speranza di stare meglio.
In alcuni momenti, il dolore sembra “stranamente” lasciarci una tregua, altre volte può tornare, anche più forte di prima, mandando in frantumi ogni programma e desiderio.
Ma che cosa ci porta questo “intruso” nella nostra casa -metaforicamente parlando- e nella nostra quotidianità?
Come ci suggeriscono i contributi scientifici sul modello bio-psico-sociale, nel dolore cronico, ancor più che in quello acuto, giocano un ruolo influente anche aspetti emotivi come preoccupazione, rabbia, paura, tristezza, sconforto, tutte emozioni che minano la nostra serenità, ripercuotendosi anche nelle relazioni e nelle nostre attività quotidiane.
Dal punto di vista cognitivo, la nostra attenzione può essere continuamente “catturata” dal dolore, dal suo aggravarsi e migrare nel corpo, perdiamo quindi la capacità di stare concentrati in attività impegnative che richiedano la nostra lucidità e concentrazione.
Spesso, chi si trova a convivere con il dolore non sa bene cosa stia succedendo e possono crearsi equivoci e credenze non realistiche sulla sua causa e sulle conseguenze nel tempo, fino a diventare fonte di ulteriore ansia e malessere.
Sopraffatti dal dolore, possiamo ritrovarci a cambiare abitudini, a lasciarci andare a espressioni di sofferenza e “sfoghi” anche con le persone a cui vorremmo mostrare solo la parte più solare di noi. Possiamo cominciare a muoverci di meno o rinunciare alle occasioni piacevoli in compagnia, per scongiurare peggioramenti del dolore o giorni di “immobilità” stesi a letto.
Spesso la mancanza di informazioni sull’effettivo peso dei vari aspetti psicologici sulla nostra percezione ed esperienza di dolore può rendere poco efficaci gli sforzi terapeutici intrapresi per gestirlo.
Ciò può avere come risultato un aggravarsi del nostro disagio e sofferenza, oltre quello dei nostri familiari e di chi cerca di aiutarci. In questo caso, infatti, un trattamento unicamente farmacologico o fisico potrebbero non ottenere il successo sperato.
Numerosi contributi di ricerca ci dicono che il ricevere informazioni scientificamente supportate riguardo il dolore, con approccio psico-educativo all’interno di un percorso multidisciplinare, può rappresentare un utile strumento per una maggior consapevolezza di cosa può amplificare il dolore che percepiamo e quali risorse e abitudini possono invece aiutarci ad attenuarlo.
Leggere la complessità e integrare i benefici dai vari punti di vista ci può restituire fiducia e un ruolo attivo da protagonisti della nostra esperienza -anche in compagnia del “coinquilino” dolore- permettendoci di riassaporare quei momenti di gioia e soddisfazione con le persone che amiamo.
Dott.ssa Nadia Chiaravalle, Psicologa, Operatore di Training Autogeno
Team Psicologia A.S.Fibromialgia